Di Federico Goddi
Eric GOBETTI, La Resistenza dimenticata: Partigiani italiani in Montenegro (1943-1945), Salerno editrice, Roma 2018, pp. 178, Euro 14
La storia della Divisione italiana partigiana Garibaldi in Montenegro è una delle testimonianze più significative della Resistenza dei militari italiani all’estero durante la Seconda guerra mondiale. Al momento dell’armistizio dell’8 settembre 1943, nel piccolo Stato balcanico erano presenti le truppe del XIV Corpo d’armata del Regio esercito, composto da quattro divisioni con elementi dislocati in un territorio dallo scenario aspro e montuoso. La notizia dell’armistizio giunta nella serata dell’8 settembre spinse molti uomini in grigioverde a effimere manifestazioni di giubilo, frutto del desiderio del ritorno in patria. Sull’altra sponda dell’Adriatico iniziava invece un’altra guerra.
È questa la storia contrastante delle quattro grandi divisioni militari italiane che avevano occupato il Montenegro sino alla capitolazione italiana: Emilia, Ferrara, Venezia tra le divisioni di fanteria e l’alpina Taurinense. Tra coloro che interpretarono alla lettera gli impegni armistiziali sono rintracciabili due grandi categorie: quelli che, osteggiando la collaborazione con i tedeschi, consegnarono i loro destini alla via della deportazione, e gli uomini a cui Eric Gobetti dedica il volume, cioè i soldati che scelsero la strada delle armi per combattere il vecchio alleato. Nello scenario montenegrino quest’ultimo sentiero significò plasmare un’alleanza complicata con l’esercito partigiano jugoslavo, segnando di fatto un’ulteriore rottura con i collaborazionisti: ‹‹In Montenegro per tutto il 1942 italiani e cetnici si spartiscono il territorio: agli italiani le principali città, ai serbi le campagne e i villaggi›› (pp. 71-72). Il processo di discontinuità politica e militare con la guerra fascista culminò per i fanti della Venezia che costituivano ‹‹il nucleo più consistente di resistenti›› (p. 82) e per le penne nere della Taurinense con la formazione della Divisione italiana partigiana Garibaldi (2 dicembre ’43).
Il più grande merito dell’autore è rappresentato dall’aver portato alla luce il prezioso materiale inedito conservato all’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano, affiancandolo ad un utilizzo critico delle interviste agli ultimi reduci della Garibaldi. Grazie all’utilizzo della diaristica appare definitivamente superato il classico schema del semplice evento storico-militare di cui erano prigioniere le vicende dei resistenti italiani. Gobetti riesce ad inserire le microstorie dei singoli soldati nelle grandi questioni interne al conflitto: le violenze del fascismo potenza occupante e il trauma armistiziale, che rappresentano rispettivamente i grandi temi della parte prima del volume (“L’attesa”) e della sezione seconda (“La scelta”). La terza e ultima parte del libro (“Senza via d’uscita”) costituisce una sintesi delle precedenti tematiche in cui vengono sottolineate le diffidenze tra nuovi alleati, connaturate ad una tragica quotidianità, fatta di interminabili marce nella neve sino alle estreme conseguenze: ‹‹La fame ti fa fare cose che non vorresti, cose che non avresti mai pensato di poter fare. Bruno ruba per mangiare, e non ci riesce nemmeno›› (p. 107).
L’affresco storico è sorretto da un impianto narrativo incalzante che rende fruibile il volume anche ai non addetti ai lavori. Ulteriore merito di Gobetti è rappresentato nell’aver dato nuova luce agli eventi, al di fuori dei canoni retorici. La questione della scelta partigiana è a volte sofferta in uomini che non erano certi di essere in ‹‹grado di affrontare l’esperienza partigiana su quelle montagne sconosciute›› (p. 92), ma che ‹‹continuarono a sentirsi parte del proprio esercito operante all’estero›› (p. 94) sino al rientro in Italia, avvenuto in un silenzio assordante nel marzo 1945.